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Il giorno in cui morì il PCI

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Si commuove, Giorgio Napolitano, quando Veltroni gli chiede se con Enrico Berlinguer in fondo non sia morto anche il PCI. E sì, deve ammettere il presidente, quel giorno si è di fatto conclusa quell’esperienza che ha dato senso alla vita di Enrico, Giorgio e qualche altro milione di italiani.

Perchè in “Quando c’era Berlinguer” c’è una ricostruzione storica, ormai ampiamente condivisa, sull’ampiezza e la serietà della visione strategica del segretario sardo, e sulla sua sostanziale sconfitta.

Ma oggi Berlinguer torna sulla scena come un perdente di straordinario successo: per quell’idea di politica come capacità di pensieri lunghi sul futuro, e serietà nel perseguirli, che sapeva rappresentare anche fisicamente. Quei capelli spesso ribelli, come era stato in gioventù, e come aveva saputo essere a Mosca, di fronte a burocrati gelidi e vendicativi, quando non era facile né indolore.Quel viso asciutto e severo che sapeva sorridere come solo certi timidi, a volte.

Con lui si conclude la storia di quella comunità litigiosa e bellissima che è stato il PCI, un paese nel paese, come ricordava Pasolini. E l’ultimo comizio elettorale di Padova, concluso a stento, con il rituale appello a cercare gli ultimi voti “casa per casa, strada per strada”, diventa tragedia, e ancora oggi non si riesce a guardare.

Oggi non esiste più il Partito Comunista Italiano, e pensare di rifarlo sarebbe follia, ché la storia non si ripete a nostro piacimento. Esiste il vuoto che ha lasciato, l’assalto al cielo che è stato fallito. Riuscissero a capirlo, quelli che cercano il cielo in un hashtag, o in un vaffanculo.

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