Debora Serracchiani è una componente della segreteria Pd ingiustamente trascurata dai media, che preferiscono concentrarsi su Maria Elena Boschi.
Peccato, perché a seguirne l’attività si trovano perle rare, come quella che dispensa questa mattina attraverso un’intervista a Repubblica; chiamata a chiarire in quali casi il governo intenda mantenere l’articolo 18, Serracchiani ribadisce l’intenzione di confermarlo per i licenziamenti discriminatori, poi, con la sfrontatezza leggera del genio, aggiunge: “dobbiamo valutare le situazioni un po’ borderline, ad esempio se un lavoratore viene licenziato perché accusato di rubare e poi si scopre che non era vero”.
Ora, la Serracchiani era un avvocato, prima di diventare una politica di professione, grazie alla visibilità ottenuta criticando i politici di professione: potrebbe spiegare – non a me, ovvio, magari a sé stessa – cosa c’è di “borderline” nell’essere accusati ingiustamente di essere ladri ? In quale contesto sociale si può punire una persona con l’accusa di essere un ladro, e poi, se l’accusa risulta infondata, mantenere comunque la punizione ? Se la Serracchiani venisse arrestata perché accusata di essere corrotta, e poi si accertasse che non era così, troverebbe accettabile una norma che dicesse che sì, vabbé, ma ormai è fatta e quindi rimanga in galera ? La troverebbe una situazione “borderline” ?
Tutte domande che non hanno più a che fare con l’articolo 18, è chiaro. Hanno a che fare con il funzionamento del cervello umano. E sulla ricompensa che chiediamo per far finta di non averlo.