E’ difficile venire bene in una foto segnaletica.
Non c’è riuscito nemmeno Massimo Porcile, che tanto bello non è.
Non sembra cattivo, a guardarlo; insofferente, piuttosto, magari preoccupato. A dirla tutta, sembra soprattutto annoiato.
Sul giornale dicono che non ha esperienze politiche precedenti, anche se è indicato come un “estremista di sinistra”. Invece qualche esperienza ce l’ha: è stato un ragazzo dell’ultima FGCI, poi è rimasto per molti anni in Rifondazione, dove l’ho conosciuto.
Non è mai stato un leader, era un militante di base: quelli che montavano le feste, lavavano i piatti, andavano alle manifestazioni. Quelli che non credevano alle mediazioni, alla gradualità, alla presenza nelle istituzioni. Quelli che sognavano un comunismo un po’ ingenuo, come è lui.
Quelli che erano i più generosi, i più sinceri, magari i più timidi.
Ora leggo che nascondeva le armi delle nuove BR, le hanno trovate nel garage. Non lo vedo da molti anni, e anche prima non è che fossimo intimi. Non conosco i suoi percorsi, come si è avvicinato ai suoi ultimi compagni, se fosse consapevole e convinto di ciò che faceva o se qualcuno più scaltro di lui gli abbia scaricato il compito più rischioso.
Chi ha vissuto nella sinistra degli anni settanta magari conosce molte storie come la sua, e molti di quelli che le hanno vissute. Per la mia generazione è strano, quasi grottesco, tanto lontana sembra una scelta del genere dalla vita e dai pensieri dei nostri tempi. Lui non la pensava così, evidentemente.
Ma non riesco a pensarlo come un mostro, o come un assassino.
E’ vittima di un lutto non elaborato, di una rivoluzione da fumetto, di un sogno maldestro.
Forse lo hanno svegliato in tempo, forse può farcela a riprendere la sua vita.
Noi, alla fine, possiamo solo sperarlo.