Manca ancora molto al referendum sulle riforme costituzionali, eppure già in questi giorni si è di fatto aperta la campagna elettorale. Il Presidente del Consiglio ha annunciato il suo impegno diretto e costante, e ha ricevuto l’appoggio convinto – e non sorprendente – dell’ex presidente della Repubblica, Napolitano. Contemporaneamente si stanno formando in tutta Italia comitati contrari alla riforma, e le polemiche hanno cominciato a crescere nei toni.
Al di là del merito e degli schieramenti, è interessante notare quali strategie narrative si confronteranno nei prossimi mesi.
Oggi, nel panorama politico italiano, si contendono lo spazio tre diversi racconti del paese: il racconto della paura, che parla a un individuo spaventato – dalla crisi economica, dal terrorismo, dall’immigrazione, persino dalle trasformazioni del clima – e ne amplifica le pulsioni repressive e autoritarie; il racconto della rabbia, che solletica il senso di indignazione e di rivolta contro non bene identificate elité responsabili dello stato di sofferenza dei cittadini – in primis contro “i politici” e “i tecnocrati” – e chiama alla mobilitazione “degli onesti”; e infine il racconto della speranza, di chi punta a risvegliare orgoglio e voglia di fare, propone di tirare una riga sul passato e ricominciare, lasciando al loro destini i pessimisti e i lamentosi.
Non è difficile identificare le figure di leader che incarnano questi tre racconti, o per lo meno ne sono i principali narratori: Salvini e Grillo fanno propri il racconto della paura e della rabbia, anche se a volte mescolano questi umori, e Renzi svetta nell’interpretazione del racconto della speranza.
Certo, è naturale notare che paura, rabbia, speranza sono sempre in qualche modo intrecciate, in ognuno di noi, ma su questo vale osservare che “l’ ‘interesse’ di una persona, o di una categoria di persone, non è per nulla qualcosa di oggettivo, qualcosa di ‘vero’ o ‘falso’ “ ma è piuttosto “una scelta di valore, variabile … in quanto influenzata dal mutevole intreccio delle convinzioni e delle mode sociali”, come scriveva molti anni fa Gianfranco Miglio ed ha ricordato Damiano Palano nel suo bel libro Democrazia senza partiti.
E se – come scrive Palano – “gli interessi degli individui e dei gruppi … [sono] sempre l’esito della costruzione politica di identità collettive, compiuta anche (seppur non esclusivamente) dai partiti)”, oggi, nella sostanziale evaporazione delle grandi organizzazioni politiche, il ruolo di costruttore di identità collettive, attorno a cui raccogliere consenso e attenzione, spetta ai leader, in un rapporto diretto con gli individui.
Salvini, Grillo, Renzi usano paura, rabbia, speranza per tracciare confini, e raccogliere “un popolo” attorno a loro.
Nella campagna referendaria, Renzi ha già tracciato con nettezza il percorso: la riforma ha senso perché sblocca il paese “dopo 63 governi dormienti”; perché consente di accelerare il processo legislativo oggi lentissimo se non paralizzato; perché rende finalmente possibile il compito di chi deve governare il paese, che potrà dedicare il proprio tempo alle cose da fare invece che a mediare fra millemila microinteressi politici e partitici.
Del resto, nel modo stesso di impostare la campagna, completamente centrata sul Governo e sulla persona del presidente del Consiglio, e nel sostanziale disinteresse mostrato per altri e più vicini momenti elettorali, come le elezioni amministrative di giugno, c’è un messaggio di “riforma” del nostro sistema politico in senso presidenzialista più potente di tutte le singole misure proposte.
Poco importa che tutti gli argomenti a favore delle riforme siano contestabili, perché chi si fermerà a tentare di confutarli, per il fatto stesso di opporsi “al cambiamento”, finirà suo malgrado per confermare la narrazione di Renzi, recitando il ruolo – del tutto funzionale – del piantagrane un po’ malevolo che si oppone alla grande speranza.
Per questo oggi credo che chi è contrario alle riforme proposte, soprattutto a sinistra, sbagli a farsi incoraggiare da sondaggi contradditori. E credo che se la sinistra non riuscirà a trovare lo spazio per un proprio racconto del paese, autonomo e alternativo a quelli oggi in campo – e al momento non si vede – continuerà a recitare la parte del cattivo goffo e stupidotto che tanto volentieri il copione di Renzi le ha riservato.